Non esiste in nessun'altra parte del mondo un confine come
quello di Wagah, dove il film inizia la sua dolente esplorazione: al di là e al
di qua della linea bianca che divide l'India dal Pakistan, si recita ogni
giorno l'apertura/chiusura dei cancelli, la coreografia dei facchini (blu o
rossi, a seconda della "nazionalità') che si passano le merci nel tratto in cui
i camion non possono più andare, tragicomica pantomima del conflitto. Immagini di straordinaria intensità punteggiano e accompagnano questo viaggio soprattutto mentale attraverso la geografia e la storia dell'India odierna: scena e memoria di atrocità che dimenticare è
difficile, quanto obbligatorio. L'occhio dell'autore entra ed esce quietamente
tra vari interni/esterni, spazi pubblici o molto privati. Osserva, riflette,
cattura: piccoli gesti, giochi tra bambini, momenti di sospensione, silenzi, sguardi.
Si interroga sulle implicazioni pratico/strategiche della non violenza, che "non è recedere dal conflitto, ma affrontarlo con lo strumento della decisione: al posto di intervenire valuti di non rispondere con la violenza alla violenza…" Il viaggio si conclude dove era iniziato,
nella no-man's land ai confini tra Pakistan e India, dove ogni giorno due
comunità in tutto simili, che la storia rese nemiche, si guardano al di là dei
cancelli, nei loro rispettivi "al di fuori'.