Nel porto di Rotterdam, il ponte ferroviario che collega le due rive della Mosa, appena edificato, è il soggetto per uno studio sul ritmo, le geometrie, il movimento. Con questo lavoro, Ivens abbandona il cinema come hobby e vi si dedica completamente: «Dopo Il ponte, mi sentii più sicuro di me. Sapevo cosa volevo, e il tempo di prendere decisioni era venuto ». Orchestrato come un brano sinfonico, la dialettica tra il mare, il progresso tecnologico e il lavoro dell'uomo, è risolta deformando la realtà secondo le tendenze avanguardiste dell'epoca, in un rapporto armonico tra sviluppo industriale, natura e uomini. Si assottiglia così il legame tra idea e oggetto e Il ponte diventa uno dei film più astratti di Ivens: «Non è un concetto di ponte, ma non è nemmeno lo stato di cose individuato definito dalla sua forma, dalla sua materia metallica, dai suoi usi e dalle sue funzionià » (Gilles Deleuze). Il teorico ungherese Bla Balzs ricorderà Il ponte come un grande esempio di cinema assoluto: «Anche quando Ivens ci mostra un ponte [...], la costruzione di ferro si dissolve in immagini immateriali inquadrate in cento modi diversi. Basta il fatto che questo ponte possa essere visto in tanti modi per renderlo in un certo senso irreale.[...]