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SPUNTI DI RIFLESSIONE DIDATTICA - PER LE SCUOLE
Il mare purtroppo è un ambiente di cui ci è difficile cogliere lo stato di salute, frequentandolo principalmente in estate e solo lungo la costa. Se avessimo la possibilità di uscire in mare aperto, magari su una nave da pesca, ci renderemmo conto che la situazione è più tragica di quanto avessimo mai immaginato.
Basti pensare che i principali predatori marini come il tonno, il pesce spada, lo squalo, sono oggi animali a rischio d'estinzione. Perché?
Pensando alle possibili insidie a cui l'ambiente marino deve far fronte la prima cosa che solitamente ci viene in mente è l'inquinamento che purtroppo non è l'unico nemico dei nostri oceani. C'è un nemico più insidioso di cui nessuno parla: la pesca a strascico.
Questa tecnica di pesca consiste nel gettare in mare pesanti reti, che una volta raggiunto il fondale vengono trainate per chilometri: proprio per questo essa rappresenta la tecnica di pesca più impattante per l'ambiente marino. Le reti a strascico infatti asportano qualunque cosa incontrino sul fondale: banchi di coralli, praterie di Posidonia oceanica, alghe, invertebrati, pesci, rettili e mammiferi, lasciandosi dietro ambienti devastati, dove le comunità biotiche originarie si potranno reimpiantare solo dopo decine, se non centinaia, di anni.
Questo è particolarmente grave quando riguarda ecosistemi complessi e il cui ruolo biologico è fondamentale, come nel caso delle praterie di Posidonia oceanica, pianta acquatica endemica del Mar Mediterraneo. Essa forma delle praterie sottomarine che costituiscono la comunità climax nei nostri mari e al cui interno vivono molti organismi, animali e vegetali, che nelle praterie trovano nutrimento e protezione: policheti, ricci di mare, stelle marine, molluschi, pesci erbivori e carnivori.
Proprio per evitare questa pesante perdita di habitat e di specie in alcuni paesi, ad esempio in Italia, si è deciso di vietare la pesca a strascico entro le 3 miglia marine o al di sopra della batimetrica dei 50 metri, zone in cui si sviluppano queste comunità complesse; nonostante ciò rimane comunque frequente imbattersi in pescherecci che praticano lo strascico anche in zone vietate.
Un altro problema della pesca a strascico è la non selettività: essa raccoglie di tutto, specie commerciali e non commerciali, adulti e giovani: lo scarto di questa tecnica di pesca rappresenta quasi l'80% del pescato totale, che viene dunque rigettato in mare perché non vendibile (tartarughe, delfini, squali o animali troppo giovani perciò di taglia inferiore alla taglia minima commerciabile).
Gli animali rigettati in mare il più delle volte sono già morti (come le tartarughe o i delfini che, bloccati nelle reti, non possono emergere a respirare) o muoiono nel giro di poche ore in seguito ai danni provocati dalla rapida emersione.
Viste le ovvie difficoltà nel controllare l'attività di pesca in mare aperto, in aree di particolare interesse biologico si usano tecniche dissuasive come l'affondamento di blocchi di cemento provvisti di tondini d'acciaio piegati a gancio, in grado di danneggiare seriamente le reti a strascico. Questi blocchi, oltre all'effetto di allontanare lo strascico illegale dall'area, forniscono un supporto agli organismi bentonici e incrementano così la biodiversità dell'area.
Un altro sistema di salvaguardia della fauna marina è quello di istituire periodi di fermo biologico che coincidono con i periodi riproduttivi delle principali specie oggetto di pesca. Durante questi periodi la pesca a strascico è completamente vietata ovunque, in modo da consentire la riproduzione degli animali che è un momento fondamentale, perché non può esserci futuro per il mare se si distruggono le specie che lo abitano.
(a cura di Elena Costanzi)